Dinosaur Jr.


“Suonavo la batteria così rubavo la chitarra agli altri. Tutto ciò che suonavo erano gli assolo. Non ho mai suonato alcun accordo fino ai Dinosaur. (…) Gli accordi mi facevano male alle mani. (…) Odiavo soprattutto i barrè – sai, premere il dito su tutte le corde. Così suonavo soltanto gli assolo dietro alle canzoni”

“La batteria inizialmente mi pareva più espressiva. Penso che sia per quello che suono così alto”

J Mascis
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Simpaticissimi i Dinosaur Jr. di you’re living all over me.
Era il 1987.
E J Mascis aveva ragione da vendere. Peccato che oggi invece assomigli al personaggio in carozzina di little britain
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Sono cose che fanno pensare.

urna

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Ieri sono andato in cimitero. Uno di quelli piccoli, assolati e frequentati per lo più da gente che farà presto compagnia ai propri cari.
La tomba di mia nonna. Di marmo rosa con della terra in centro dove vivacchiano i suoi fiori preferiti. Non c’è data. Nè di nascita nè di morte. Inutili le mie rimostranze. “Cosa vuoi che interessi agli altri di quando è nata e quando è morta?”. Noi lo sappiamo.
Raggiungo il loculo di mio nonno. Tutto si poteva dire di lui tranne che difettasse di lungimiranza.
Il giorno in cui è andato in pensione ha preso il suo loculo. Rimasto vuoto in sua attesa per oltre trent’anni. Nel frattempo gli è scaduto pure il contratto, che ha rinnovato senza batter ciglio.
Mentre facevo l’asilo morì il suo cane. Ricky (il terzo ricky di fila). Non prese il quarto. Temeva di lasciarlo orfano. Gli restavano invece 19 anni da vivere.

Il vecchio che ora giace di fianco al loculo della mia bisnonna ha vinto. E’ morto la settimana scorsa. Mio zio lo nota dai fiori. Poteva notarlo solo dai fiori. Da dieci anni aveva già messo sulla lapide il suo nome e la sua data di nascita. Mancava solo lui e quella di morte. Lui è arrivato, l’ultima data seguirà a breve.

Credo che non mi farò seppellire, e un po’ mi dispiace. La scritta “scusate la polvere” avrebbe fatto la sua porca figura.

meno male che Silvio c’è


Un po’ tutti credevano che il PD fosse a cavallo dopo aver scelto come proprio inno “mi fido di te” di Jovanotti.
Ancora una volta invece “una certa sinistra” ha dimostrato di aver sottovalutato il buon Silvio, che ha risposto da par suo con una nuova invincibile canzoncina, prossimo inno del PDL. L’autore è tale Andrea Vantini, un incrocio tra Raoul Bova e Ligabue con bandana d’ordinanza.
Concepito nel 2002 durante la visione di una puntata di Sciuscià, il pezzo è giunto all’orecchio di Silvio solo di recente. Si dice che il presidente ne sia rimasto folgorato.
Martedì sera l’ha fatta ascoltare in gran segreto ai giovani azzurri in trepida attesa davanti a Palazzo Grazioli. Un successone…
Qui potete già acquistare online il pacchetto cd + maglietta a soli 15 euro più spese di spedizione, per entrare nel vivo di questa splendida campagna elettorale.

Una sola domanda: ma Apicella?

centrosinistra: l’importante è partecipare

Max Aue

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“Vede, secondo me ci sono tre possibili atteggiamenti di fronte a questa assurda vita. Prima di tutto l’atteggiamento della massa, oi polloi, che semplicemente si rifiuta di vedere che la vita è uno scherzo. Loro non ridono, ma lavorano, accumulano, masticano, defecano, fornicano, si riproducono, invecchiano e muoiono come buoi aggiogati all’aratro, da idioti così come hanno vissuto. E’ la maggioranza. Poi c’è chi, come me, sa che la vita è uno scherzo, e ha il coraggio di riderne, alla maniera dei taoisti e del suo ebreo. Infine, e se la mia diagnosi è corretta è il suo caso, c’è chi sa che la vita è uno scherzo, ma ne soffre.”

Le Benevole – Jonathan Littell

ciao bruxelles


Eccoci di ritorno dagli ormai tradizionali 4 giorni bruxellesi. In corpo diversa stanchezza accumulata ma pure parecchie soddisfazioni. Tra la conferenza dell’alde e il consiglio generale del partito radicale si sono alternati al microfono diversi ospiti internazionali, la maggior parte dei quali rappresentanti di minoranze perseguitate nelle parti del mondo più assurde. Il premio per la simpatia va però nettamente al rappresentante del green leaf party (il partito della foglia verde) israeliano. Era già presente l’anno scorso, ma stavolta sfoggiava una maglietta antiprobizionista stilosissima con scritte in ebraico stretto.
Il consiglio si è concluso con l’approvazione di questa mozione generale e questa mozione particolare.
Ai margini delle cose serie ho avuto inoltre modo di appurare quanto lo squilibrio mentale sia il requisito minimo necessario per far parte del mio partito. E vi risparmio i dettagli. Comunque degne di nota le 11 birre da mezzo da me consumate il primo giorno.

Sabato prima di lasciare il parlamento ho realizzato una breve intervista al mai domo Marco Cappato, uscita oggi sul nuovo numero di Labouratorio. Mi raccomando, leggetevelo tutto. Date un senso alle vostre vuote vite.

www.labouratorio.it


Eccolo eccolo. Fresco fresco, nuovo nuovo.
Magazine di sperimentazione alchemica per una sinistra che non c’è.
Naturalmente siete tutti invitati a collaborare con noi, basta registrarsi.

anagrammi

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quel geniaccio di Alessandro Michielin, non pago di aver risolto lo sterminio per fame nel mondo con una sua equazione, mi ha fornito un programmino per gli anagrammi.
Interessanti quelli per Mattia Panazzolo:

plana atomizzato
totalizzo Panama
tozza manipolata
piazzala monatto
manipolato tazza
mazzata optional
platano azzimato
attizza manopola
malnato piazzato
amano palazzotti
topina mazzolata
mazzo palatinato
patatona milazzo

potrebbero tornarmi utile per scrivere sulla nuova rivista on line di Ciuffoletti. Essendo piena zeppa di socialisti forse è meglio optare per l’anonimato…

pazzi di libertà

posto una piccola compilation dell’ ultimo congresso di radicali italiani creata da Simone Sapienza. La dedicherei a tutti quei poveretti che non hanno l’onore di essere compagni di partito di Nicolino Tosoni (l’uomo fascinoso con il velo sul viso) e del Tanfani (il vecchio che sbraita mandando in delirio il pubblico).
Iscrivetevi!

da rumeni a romeni

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E’ molto interessante notare l’evoluzione della lingua. Basta un omicidio commesso da un rom e TAC, un popolo intero si becca un prefisso nuovo per favorire un’ equazione demagogica.

Oggi Lisa mi ha segnalato un appello sul blog di Loredana Lipperini, lanciato sabato da un gruppo di scrittori e rapidamente sottoscritto da diverse personalità. Riporto il testo qui di seguito. Io ho aderito, vi invito a fare lo stesso. Potete farlo QUI.

Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne

La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d’allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando “emergenze” e additando capri espiatori.

Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L’odioso crimine scuote l’Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.

Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.

Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all’uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.

Su queste vicende si scatena un’allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell’ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.

E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell’ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L’omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto.

Nell’estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l’aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell’influenza politica, l’Italia è 84esima. Ultima dell’Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.

Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?

Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.

Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.

Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.

Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.

Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).

Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani – dopo aver “delocalizzato” e creato disoccupazione in Italia – pagano salari da fame ai lavoratori.

Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d’ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.

Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.

Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.

E non sembra che l’ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.

Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione.

Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.

Essere rumeni o rom non è una forma di “concorso morale”.

Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.

Nessun popolo è illegale.

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