Archive for novembre, 2007

pazzi di libertà

posto una piccola compilation dell’ ultimo congresso di radicali italiani creata da Simone Sapienza. La dedicherei a tutti quei poveretti che non hanno l’onore di essere compagni di partito di Nicolino Tosoni (l’uomo fascinoso con il velo sul viso) e del Tanfani (il vecchio che sbraita mandando in delirio il pubblico).
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da rumeni a romeni

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E’ molto interessante notare l’evoluzione della lingua. Basta un omicidio commesso da un rom e TAC, un popolo intero si becca un prefisso nuovo per favorire un’ equazione demagogica.

Oggi Lisa mi ha segnalato un appello sul blog di Loredana Lipperini, lanciato sabato da un gruppo di scrittori e rapidamente sottoscritto da diverse personalità. Riporto il testo qui di seguito. Io ho aderito, vi invito a fare lo stesso. Potete farlo QUI.

Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne

La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d’allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando “emergenze” e additando capri espiatori.

Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L’odioso crimine scuote l’Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.

Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.

Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all’uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.

Su queste vicende si scatena un’allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell’ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.

E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell’ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L’omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto.

Nell’estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l’aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell’influenza politica, l’Italia è 84esima. Ultima dell’Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.

Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?

Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.

Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.

Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.

Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.

Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).

Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani – dopo aver “delocalizzato” e creato disoccupazione in Italia – pagano salari da fame ai lavoratori.

Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d’ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.

Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.

Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.

E non sembra che l’ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.

Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione.

Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.

Essere rumeni o rom non è una forma di “concorso morale”.

Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.

Nessun popolo è illegale.

post rock is not…

65 days of static – drove through ghosts

post rock is not dead

explosions in the sky – your hand in mine

anno nuovo, figa vecchia

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Volendo leggerlo in numeri, il congresso di radicali italiani è andato più o meno così. Insomma un lieto e ossequioso beneplacito al dogma “squadra che vince non si cambia”. Cosa vince poi non è dato saperlo. Ci era stato spiegato lo scorso anno che quel coglione di Capezzone non sapeva fare iscritti e andava sostituito. Oggi si gioisce per il medesimo numero di iscritti, dopo una fallimentare campagna “o li scegli o li sciogli”. Bah. Del resto non tutti hanno la fortuna di essere Walter Vecellio, col suo “Marco spiegami cosa sto pensando”.

Il congresso si era aperto con la proposta di Marco Pannella di accantonare momentaneamente i diritti civili e le lotte anticlericali a favore delle libertà economiche. Si è chiuso invece con una mozione generale che “Ribadisce inoltre la necessità e l’urgenza di mantenere nella propria iniziativa politica la battaglia della laicità contro lo strapotere clericale denunciando la violazione, da parte dello Stato teocratico Vaticano, del Trattato del 1929, promuovendo tutte le iniziative volte a superarlo”.
E per fortuna.

Forse qualche merito per questa retromarcia va dato all’iniziativa della doppia tessera radicali/partito socialista lanciata dal segretario milanese Valerio Federico sul riformista. Iniziativa criticata ma forse temuta, visto l’emendamento Rovasio alla mozione generale e il tentativo di Pannella di far passare la lista “in nome della rosa” per la lista della lettera Bacchi/Boni/Mischiatti/Corleo del luglio scorso, con connesso invito al non votarla.
Nell’ immediato mi rallegro di essere stato rieletto in comitato nazionale insieme al mio amico Tommaso Ciuffoletti. Ce ne fossero di socialisti liberali come lui…
Preparatevi ad essere tediati da una nuova rivista online.